La disfunzione erettile dopo prostatectomia radicale, un problema che rimane.

Oggi, nonostante la diffusione delle nuove tecniche miniinvasive per il trattamento del tumore prostatico, la disfunzione erettile (DE) rimane un problema che molti pazienti sono costretti ad affrontare, indipendentemente dalla tecnica utilizzata anche nelle mani del miglior chirurgo.

E’ opportuno chiarire bene alcuni concetti che spesso vengono mal interpretati e, pertanto, inducono false speranze da parte del paziente. Esistono due diversi tipi di DE dopo un intervento chirurgico per tumore prostatico:

DE temporanea:

Si può verificare immediatamente dopo l’intervento (tipicamente dopo una prostatectomia radicale anche se durante la procedura è stato eseguito un risparmio dei nervi cavernosi) e che può durare un tempo variabile da qualche giorno fino a 12-15 mesi ma che generalmente tende a migliorare e guarire. Questo deficit è legato allo “shock” dei nervi cavernosi esercitato dalla procedura chirurgica (anche quando questa è eseguita “ad arte”) e può essere influenzato negativamente da  vari fattori legati al paziente (età, condizioni generali, fumo, diabete mellito, malattie cardiovascolari). Inoltre, questo problema si può verificare anche dopo trattamenti meno invasivi come la radioterapia esterna oppure la brachiterapia (impianto di semi radioattivi nella prostata) generalmente a causa di disturbi irritativi urinari oppure per cause psicogene.

DE permanente:

Riguarda quella quota di pazienti che non recupera in maniera soddisfacente la potenza sessuale nonostante sia stato eseguito un intervento con risparmio dei nervi cavernosi a causa dei motivi citati sopra oppure quei pazienti che, da subito, a causa di particolari condizioni di malattia aggressiva, non hanno potuto essere sottoposti a tecniche di risparmio nervoso.

Come possiamo trattare queste due forme di DE?

DE temporanea:

Può essere trattata con una riabilitazione sessuale, cioè con l’utilizzo di farmaci o procedure che prevedano una “riossigenazione” del corpo caverrnoso. La terapia di scelta è rappresentata dall’utilizzo degli inibitori delle 5-fosfodiesterasi (sildenafil, tadalafil, vardenafil e avanafil). Se, da un lato, non vi sia una certezza su quale tra questi farmaci debba essere preferito e con quale modalità di assunzione (tutti i giorni, due o tre volte alla settimana o al bisogno), dall’altro lato è stato dimostrato con una certa evidenza che la riabilitazione sia tanto più efficace quanto più precocemente venga iniziata. Una procedura alternativa o complementare può essere rappresentata dall’utilizzo del vacuum device, un dispositivo a forma di campana provvisto di una piccola pompa che, applicato al pene in condizione di flaccidità, riesce a stimolare la circolazione peniena attraverso la creazione del vuoto all’interno della campana. Un gradino successivo per il trattamento dei pazienti non responsivi è rappresentato dall’utilizzo di alprostadil somministrato in fiala attraverso puntura intracavernosa oppure in crema assorbita a livello del meato uretrale esterno. Tale trattamento è decisamente più efficace visto l’effetto locale di alprostadil ma richiede l’esecuzione di un’iniezione nel pene oppure l’applicazione di una crema 10-30 minuti prima del rapporto sessuale. Pur non esistendo degli schemi precisi di riabilitazione sessuale, spesso, gli inibitori delle 5-fosfodiesterasi e l’alprostadil vengono utilizzati nello stesso periodo di tempo per accelerare i tempi di ripresa dell’attività erettiva.

DE permanente:

In caso di DE permanente l’utilizzo degli inibitori delle 5-fosfodiesterasi trova scarsa indicazione a causa di una compromissione irreversibile dell’integrità dei nervi cavernosi. In questi casi, l’utilizzo di alprostadil è la soluzione più utilizzata e più efficace. Un gradino successivo nei pazienti non più responsivi o contrari alla terapia con alprostadil può essere rappresentato dall’impianto di protesi peniene, una soluzione molto efficace ma che prevede il ricorso ad un intervento chirurgico.